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le vetrine di Natale

  • Chiara
  • 29 nov 2021
  • Tempo di lettura: 3 min

Le vetrine di Natale sono sempre il momento più magico e intenso dell’anno, il più dolce e armonioso, quello in cui siamo tutti buoni. L’albero, i regali, le sfere rosse e bianche, i brillantini e la neve sono sempre stati , nel mio immaginario di bambina, degli oggetti meravigliosi che, uniti alle canzoni natalizie, creavano un ambiente caldo e indimenticabile che mi avrebbe seguita per tutto l’anno a venire. Nei film sicuramente è così. Nei film. Nella distorta visione collettiva, fare le vetrine di Natale parrebbe un’attività divertente e unificante, una giornata di amore e sogni che ti prepara al momento più caldo (in ogni senso) dell’anno.

Volete sapere la verità?? Tappate le orecchie ai bambini e non ditelo a nessuno. Nulla di più errato!

La vetrinista nazi è ciò di più vicino al Grinch che io conosca. Arriva la mattina con il suo grugno malefico e il sorriso sornione, già nervosa appena sveglia. Ti saluta e intanto butta l’occhio per controllare se tu, umile collaboratore, hai eseguito gli ordini che ti ha strillato al telefono la settimana prima. La legna c’è, le sfere ci sono, l’albero è montato, il boa di abete è messo, le vetrine sono vuote, pulite, lavate, splendenti e profumate. L’occhio attento passa poi ai banconi, dove tu hai selezionato i prodotti da mettere in vetrina. Passa con noncuranza ogni singolo oggetto col suo sguardo laser, fingendo disinteresse, poi passa una seconda volta soffermandosi meglio, sempre a distanza di sicurezza di 3 metri. Ma lei sa già, vede già. E tu, umile collaboratore sempre più inesperto, lo sai che hai sbagliato un colore, lo sai che non è del rosso giusto. Ti guarda senza dire nulla, tirando giù leggermente gli occhiali e ti fissa senza proferire verbo. Abbassi la testa, pentito, e corri al bancone prima che possa farlo lei e cominci a togliere tutto. “Che cosa ti avevo detto?” dice poi con placida serenità, quando ormai hai finito di svuotare tutto il bancone e stai ricominciando da capo.

La vetrinista nazi si infila poi in vetrina, tra urla, minacce, insulti e risate di tutta risposta e ne sbuca fiori dopo un’ora, ricoperta di spilli e arnesi fin sopra i capelli, intanto che si sistema i jeans ormai sporchi di brillantini e neve e ti fissa. Tu, spettinata al punto da parere un cespuglio di rovi, con tronchi fin sotto il mento, in mano bottigliette d’acqua e nastri, la guardi colpevole, in attesa della sentenza. “Chiara, allora?”. Allora cosa? Che cosa avrò sbagliato questa volta? Lo sguardo sempre più desolato e spaventato crolla sempre più giù in attesa del giudizio. “Niente, era per farti paura!”. E avanti così, finché il cane, innocente martire che subisce il circo da due giorni, non decide che è giunta l’ora del giudizio universale e scende dalla scala, si dirige in vetrina in silenzio col passo molleggiato della pantera rosa. Arriva a un metro dalla vetrinista e poi cede a un acuto degno di un cantante lirico, fissandola dal basso. La vetrinista nazi, a quel punto, si spaventa, pianta un urlo di risposta e rischia di cadere, appendendosi alla grata del soffitto per tenersi, finendo quindi appesa come una scimmia al soffitto dondolante.

E così tutto il giorno, in un tunnel di colori sbagliati e piccole concessioni date dall’affetto che prova per te, o forse dagli occhioni da mucca che le sfoderi davanti come arma impropria. Queste sono le vetrine di Natale. E, per tutto l’anno, ti trascini con te un pensiero, un suono e un significato: “Chiara, devo ripetertelo?”.

Al di là dell’intermezzo ludico ricreativo, le voglio un mondo di bene e devo confessare che è la vetrinista migliore del mondo: ora il negozio è magico.

 
 
 

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