un ombrello elegante
- Chiara Dibby
- 17 feb 2022
- Tempo di lettura: 2 min
Talvolta credo di essere un ombrello, non di quelli pieghevoli a scatto che, in apertura, ti sorprendono e magari ti spaventano. No, uno di quelli lunghi, manuali, un po’ retrò, lenti in apertura, che non si fanno notare. Questo dubbio sta rapidamente divenendo una consapevolezza, supportata dalle azioni altrui nonché dalle parole. Inizialmente ne rimanevo sconcertata e forse turbata, oggi credo di essere arrivata ad uno stadio di nervosismo misto a rabbia tale da non avere pari.
Non che io sia un tipino silenzioso. Diciamo che è difficile che si creino quei silenzi imbarazzanti davanti al bancomat, che tenta con tutte le sue forze di autorizzare una transazione, mentre i due avventori guardano fischiettando per aria, onde evitare di fissarsi imbarazzati. Impossibile, perché prima di giungere a quel punto sono già solitamente riuscita a cominciare un discorso e trattenere involontariamente le persone per poterlo portare a termine. E non sia mai che facciano qualche orrore di italiano, perché, in quel caso, da grammar nazi quale sono, farò di tutto per portarli a ripetere la stessa frase in maniera corretta, avendo cura di correggere precedentemente l’orrore senza farglielo capire. E che musica per le mie orecchie riascoltare la frase in un melodioso italiano corretto, senza aver ferito l’orgoglio di nessuno. Una di quelle cose che ti risollevano la giornata, così, silenziosamente, ma con un sospiro di sollievo nel cuore.
Tuttavia… esiste sempre quel tuttavia che ti fa tirare fuori il barattolo di nutella dal mobiletto del retro e sfoderare il cucchiaio. Talvolta, ripeto, credo di essere un ombrello. Che smacco per la mia autostima quando, rapiti dal pomeriggio libero di shopping, entrano senza neanche guardarmi. Li seguo con gli occhi, con tristezza, li saluto, procedo con un cenno della mano, tento un approccio qualsiasi per sentire anche solo il suono di un semplice “ciao”, ma nulla accade. Il mio amor proprio ne risente prontamente, spingendomi a domandarmi cosa ho sbagliato. Quando poi, nonostante ripetuti tentativi entrano senza neanche guardarmi, mi ignorano, mi evitano, poi escono come fosse un bagno pubblico, senza dirmi una parola, in quel caso, è davvero una tragedia. Allora comincio a domandarmi se sono invisibile, e giungo, dunque, alla conclusione di essere un ombrello. Spero almeno che mi vedano come un bell’ombrello elegante in stile Audrey Hepburn. Così, già che lo sono, vorrei poter scegliere.
Ripeto in questa sede il mio costante mantra, ormai fedele compagno di scritture: adottate anche voi una commessa, vene sarà grata.
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